Non credo sia bene usare troppo il termine ‘burocrazia’ nel contesto di questa iniziativa. Sia che si tratti di burocrazia ‘aumentata’ o di burocrazia ‘virtuale’, se il termine si prende alla lettera il concetto trasmesso mi sembra discutibile, e comunque non particolarmente interessante per i nostri scopi. Molto meglio parlare di pubblica amministrazione, che è probabilmente quello che Guido aveva in mente. Pubblica amministrazione può essere considerato sinonimo di burocrazia, ma è un concetto molto diverso. Tanto per cominciare, se la politica (che comprende l’amministrazione della cosa pubblica) è per natura inerente all’uomo (come ci insegna Aristotele), non credo che la pubblica amministrazione possa essere virtualizzata. Certamente la tecnologia può migliorarla, nel senso di contribuire a curare meglio il pubblico interesse. Questa è quindi la chiave, secondo me: come l’IA può aiutare la PA a curare meglio il pubblico interesse?
La PA cura il pubblico interesse tramite (soprattutto) l’erogazione di servizi pubblici, e qui si innesta quello che (giustamente) è il primo capitolo del white paper che si sta preparando. L’IA può certamente contribuire a migliorare tali servizi da diversi punti di vista, sia per quanto riguarda il contenuto e le modalità di erogazione, sia per quanto riguarda le possibilità di accesso. Questi sono gli aspetti dove ci sono più esperienze e dove sembra si concentrino gli investimenti, che riguardano il cosiddetto front-office. Ma l’IA può dare un contributo forse ancora più grosso al miglioramento del back-office, semplificando le procedure grazie all’interoperabilità dei processi, rendendo tali processi più gestibili e trasparenti, e quindi suscettibili di miglioramento facendo leva innanzitutto sulle competenze del personale della PA, che vanno valorizzate, ma anche sul contributo diretto dei cittadini.
Mi piace qui ricordare una delle raccomandazioni della strategia di implementazione dell’ European Interoperability Framework:
“Put in place mechanisms to involve users in analysis, design, assessment and further development of European public services”.
Per questo non bastano gli open data. Servono open processes e open services. E per questi ultimi è certamente necessario il lavoro di concettualizzazione di cui parla Guido Vetere, una ontologia della PA che descriva organizzazioni, processi e servizi, tenendo conto del fatto che, come osserva Giovanni Pansini, si tratta di una realtà profondamente normata.